(ANSA) – ROMA, 20 GEN – Il rilancio “trae origine dalla cultura che da sempre è il forte antidoto alla sofferenza. Occorre raccogliere le energie dal territorio per garantire crescita e sviluppo” Così il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, in occasione della cerimonia di inaugurazione ufficiale di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023 durante la quale plaude alle iniziative che vedono la “prospettiva di rinascita attraverso la scelta nobile della cultura”.
La cultura può davvero aiutarci a guarire? a essere migliori? a prosperare? Le parole del ministro Sangiuliano potrebbero sembrare una formula facile, quasi consolatoria, davanti a scenari internazionali drammatici e pericolosamente instabili.
In realtà la cultura, se sottratta ai massimalismi ideologici che spesso l’hanno piegata a strumento di poteri brutali, può essere davvero una “scelta nobile” di “rinascita”. Eppure in Italia per decenni il termine “cultura” è stato avocato prepotentemente solo da una parte politica, la sinistra, in particolare la sinistra marxista.
Cultura di destra, cultura di sinistra
Non voglio entrare nella polemica fra “cultura di destra” e “cultura di sinistra”: trovo, anzi, che restringere il campo a destra e sinistra in un paese come il nostro può forse essere una semplificazione utile per una polemica giornalistica, ma è limitante, non dà conto della realtà complessa e dell’eterogenea storia culturale italiana dell’ultimo secolo almeno.
Dovremmo operare ulteriori divisioni (cultura di sinistra riformista, cultura di destra sociale, cultura liberale, cultura cattolica tradizionalista, cultura cattolica progressista, cultura conservatrice ecc) fino a trovarci davanti un’infinita lista di definizioni di “cultura”, così frammentaria da rendere impossibile qualsiasi forma di sintesi.
Egemonia culturale della sinistra: la falce per tagliare, il martello per schiacciare
Al di là delle singole definizioni, quello che è interessante osservare è come in Italia, almeno dalla fine della seconda guerra mondiale in avanti, tutto ciò che valicava i confini dell’ortodossia di sinistra, non trovava posto nelle case editrici, nelle scuole e università, nei mezzi di informazione, nei grandi appuntamenti pubblici. La ricerca dell’egemonia culturale è sempre stata per la sinistra l’automatica ricerca del consenso sociale, e soprattutto elettorale.
Quali che fossero le culture “altre”, il monopolio marxista è stato davvero falce e martello che ha tagliato e schiacciato tutto ciò che non rientrava nel canone culturale comunista.
I cosiddetti ‘intellettuali’ avevano tutti o quasi tutti la tessera del partito comunista e molti vennero eletti parlamentari nelle file del Pci, magari come “indipendenti di sinistra”. Erano loro, quasi tutti uomini beninteso, che dettavano la linea di ciò che si doveva pubblicare, leggere, recensire, studiare, vedere al cinema, ascoltare alla radio.
Libri, film, musica… tutto il consumo culturale italiano per decenni è stato preventivamente filtrato da una sorta di implicita censura marxista. Un giornalista fuori dal coro? Un nemico del popolo, ovviamente. Un musicista che cantava di sentimenti e non delle imprese del proletariato? Esiliato nella categoria dei “fascisti”. Uno scrittore conservatore? Difficilmente avrebbe trovato un editore disposto a pubblicarlo.
Per non parlare, poi, dei “cattivi maestri” che hanno usato gli strumenti culturali per marchiare a fuoco un’intera generazioni di giovani, protagonista della sanguinosa stagione del terrorismo.
Cultura di destra? Facciamo (qualche) nome
I nomi che non appartenevano alla cultura di sinistra facevano fatica a emergere, a trovare il loro posto al sole. Eppure il contributo delle culture non marxiste in Italia è stato importantissimo.
Pensiamo a grandi figure di intellettuali scomodi, scrittori, giornalisti, editori, poeti, filosofi come Giovannino Guareschi, Leo Longanesi, Ennio Flaiano, Augusto Del Noce, Giovanni Volpe, Giuseppe Prezzolini, Indro Montanelli, Giovanni Raboni, solo per citarne alcuni.
Accanto a questo elenco, che potrebbe continuare a lungo, ce n’è un altro, forse altrettanto o ben più corposo, di autori negati, sommersi, emarginati.
Del resto, abbiamo studiato su antologie dove l’unica critica letteraria ammessa era quella marxista; abbiamo conosciuto la storia solo attraverso una storiografia pesantemente influenzata da storici faziosi che negavano (e magari negano ancor oggi) la tragedia delle foibe; nei libri di filosofa, le analisi dei filosofi di destra semplicemente non trovavano nessuna ospitalità e perfino le avanguardie poetiche hanno negato cittadinanza alla parola poetica che non fosse omologata al ‘pensiero unico’.
Marx ha sempre ragione
Il meccanismo di egemonia culturale – esercitato anche con la forza dell’esclusione, dell’emarginazione, della minaccia, dei ricatti, dell’autocensura – colpiva perfino gli intellettuali di sinistra che dissentivano dalla linea. Quando qualcuno osava criticare, era tacciato d’essere un nemico del popolo e i nemici, si sa, non hanno diritti. Quindi, o il letterato diventava un “intellettuale organico” all’egemonia di sinistra, impegnato obbligatoriamente al servizio della causa del proletariato, schierato contro “il capitalismo e i padroni”, oppure veniva messo da parte.
Per paradosso, era sempre la cultura di sinistra che tracciava l’identikit non solo di se stessa, ma anche dei suoi avversari, relegando qualsiasi “cultura di destra” nel ghetto della cultura fascista, antisemita, razzista e negando, quindi, ogni possibile cittadinanza a ciò che non obbediva alle parole d’ordine dei maître à penser comunisti.
La cultura, tra identità e orizzonte
La cultura di cui dovremmo riappropriarci è quella che ricerca e non nasconde, quella che conosce e mantiene la propria identità ma che non mette steccati e, soprattutto, non distorce la realtà per adeguarla alle follie ideologiche di una parte politica.
La cultura è al tempo stesso identità, storia, saperi, ma è anche sguardo critico verso il presente, è conoscenza e conservazione dei valori, ed è anche capacità di guardare lontano, di immaginare l’orizzonte.
Il fastidio degli intellettuali di sinistra quando oggi sentono parlare di cultura di destra è il sintomo più forte della loro debolezza e gli attacchi sguaiati che portano sono la rappresentazione plastica della fatica che fanno nel ricollocare al posto giusto le tessere di un puzzle che i loro stessi elettori hanno mandato all’aria.
Oggi possiamo dire che “fare cultura” è più facile, perché siamo più liberi (anche se certa sinistra è pronta a sostituire il dogma marxista con il dogma del ‘politicamente corretto’) e siamo consapevoli che non dobbiamo vergognarci dei valori della civiltà occidentale – i nostri valori – ma anzi che tramite quei valori possiamo meglio leggere il mondo, con la libertà che da sempre caratterizza la nostra cultura.
Gentile senatrice Giorgia Latini, condivido in pieno tutto il suo pensiero e sono orgogliosa e felice che finalmente chi ci rappresenta è così lungimirante e colto, propenso ad un reale sviluppo culturale del nostro paese . Solo la propagazione della cultura in ogni sua forma e declinazione potrà tracciare la strada per un prossimo percorso florido da ogni punto di vista. Un saluto cordiale e buon lavoro ! Complimenti per le sue iniziative