da Giorgia Latini | 05/02/2023 | Editoriali e articoli
Sbaglieresti, se pensassi che la Giornata per la Vita che si celebra oggi sia una ricorrenza che riguarda solo cattolici e credenti. Servire la vita e non la morte non è una questione relegata a chi ha una fede religiosa, ma interessa tutti, soprattutto in questo tempo dove la morte segna, purtroppo, il nostro quotidiano.
Non la morte naturale, ma quella provocata, direttamente o indirettamente, dagli esseri umani. Le guerre che ogni giorno tolgono la vita; i tanti, troppi incidenti stradali provocati da alcol, droghe, velocità; le pratiche come aborto ed eutanasia, gli incidenti sul lavoro, i femminicidi, i tanti suicidi debbono interogarci su quale senso oggi diamo alla vita.
Non voglio convincerti a cambiare idea, ma soltanto a ragionare insieme su come il presente, nonostante le apparenze, sia dominato da una cultura che nega la vita. E lo fa in tante occasioni, in mille contesti dove la vita è umiliata, soppressa, colpita.
Nel documento dei vescovi italiani pubblicato per la Giornata per la Vita 2023, intitolato La morte non è mai una soluzione”, si legge preoccupazione e tristezza nel
“constatare come il produrre morte stia progressivamente diventando una risposta pronta, economica e immediata a una serie di problemi personali e sociali. Tanto più che dietro tale “soluzione” è possibile riconoscere importanti interessi economici e ideologie che si spacciano per ragionevoli e misericordiose, mentre non lo sono affatto”.
Giornata per la Vita 2023
Celebrare oggi la giornata per la vita significa interrogarci su cosa vogliamo far prevalere, se le ragioni della vita o quelle della morte. Se vogliamo servire la vita o se accettiamo di chinare la testa di fronte a chi la vita la nega.
Ogni giorno, nella nostra quotidianità, abbiamo la possibilità di scegliere la vita: educando all’amore e al rispetto i nostri figli, adoperandoci affinché non siano le condizioni economiche a imporre a una donna se partorire o abortire, impegnandoci in politica o nel volontariato perché non sia il suicidio la soluzione alla sofferenza.
da Giorgia Latini | 15/01/2023 | Focus, Notizie
La legge 194 è la “legge dell’aborto”? E applicare questa legge significa essere a favore dell’aborto?
Spiegare bene cosa prevede la legge 194 è utile soprattutto per capire le polemiche, i dibattiti, i confronti che periodicamente emergono in Italia. Vediamo, punto per punto, in cosa consiste la legge 194 e cosa prevede nei suoi 22 articoli.
Storia della legge
La legge 194 è stata approvata il 22 maggio 1978, dopo lunghe battaglie, manifestazioni, interventi pro e contro la depenalizzazione dell’aborto. Fino a quel momento, infatti, l’interruzione di gravidanza in Italia era illegale, le politiche di contraccezione quasi inesistenti e le donne costrette ad abortire dovevano farlo illegalmente, spesso a rischio della vita.
A spingere per la depenalizzazione dell’aborto furono, in particolare, i movimenti femministi e il partito Radicale. Nel 1976, dopo vari tentativi falliti, venne concordato, da parte delle commissioni parlamentari di Giustizia e Sanità riunite insieme, un nuovo progetto di legge unitario, ma dopo l’approvazione della Camera dei Deputati, il progetto si arenò e fu bocciato al Senato.
Fu ripresentato poco dopo e nel maggio del 1978, negli stessi giorni del rapimento e dell’omicidio Moro da parte delle Brigate Rosse, diventò legge.
Aborto sì, aborto no: i referendum del 1981
Nel maggio del 1981 gli italiani si trovarono a doversi esprimere su due quesiti referendari entrambi riguardanti la legge 194, ma completamente opposti: uno chiedeva la completa liberalizzazione dell’aborto, l’altro proponeva, invece, la limitazione dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) ai soli casi terapeutici.
Il primo quesito era stato presentato dai Radicali, mentre il secondo dal cattolico Movimento per la Vita. Entrambi i quesiti furono bocciati dagli italiani.
Quello a essere decisamente respinto fu quello radicale, con l’88,42% di “No” (pari a 27.395.909 voti) e solo l’11,58% di “Sì” (3.588.995 voti); mentre il quesito proposto dal Movimento per la Vita venne bocciato con il 68% di “No” (21.505.323 voti) contro il 32% (10.119.797 voti) che votò a favore.
Cosa sappiamo della legge 194?
Quando si parla di legge 194, quando ne leggiamo sui quotidiani, sui siti web o ascoltiamo servizi in radio o assistiamo a trasmissioni televisive, la definizione che emerge sempre è quella di “legge sull’aborto”.
Decenni di comunicazione a senso unico hanno di fatto stabilito una perfetta identità tra legge 194 e pratica dell’aborto.
Oggi per un qualunque cittadino italiano, dunque, c’è una assoluta identità fra il termine “aborto” e la legge 194, “la legge sull’aborto” appunto o addirittura “la legge che favorisce l’aborto”.
Se una donna rimane incinta ed è in condizioni difficili, nella sua testa scatta immediatamente un’analogia e da essa scaturisce una sola soluzione possibile: legge 194 uguale aborto. Ma è davvero così?
Cosa prevede davvero la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza
La 194 in realtà non è la legge che favorisce l’aborto, anzi è la legge che dovrebbe evitare l’aborto, poiché già nelle sue prime righe recita così:
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.
L’intervento dei legislatori, dunque, aveva un duplice scopo: da una parte certamente eliminare dal codice penale la pratica dell’aborto, che fino al 1978 era punita anche piuttosto severamente; dall’altra, però, il primo obiettivo era quello di riconoscere il valore della maternità e di tutela «dal suo inizio» la vita umana.
La legge 194 del 1978 è composta da 22 articoli e dopo il primo articolo che illustra i principi del legislatore, gli articoli successivi si occupano delle varie questioni legate all’interruzione di gravidanza.
Esaminiamo insieme gli articoli della legge
Gli articoli 2, 3 e 4 stabiliscono i finanziamenti e regolamentano attività e ruolo dei consultori, l’articolo 2 in particolare prevede in che modo deve essere assistita la donna in gravidanza nei consultori familiari, mentre l’articolo 4 riguarda l’interruzione di gravidanza entro i 90 giorni.
L’art. 5 disciplina sia le attività dei consultori familiari sia delle strutture socio-sanitarie; gli articoli 6 e 7 stabiliscono le condizioni per l’IVG successiva ai 90 giorni; l’articolo 8 si occupa dei luoghi sanitari in cui può essere praticata l’interruzione della gravidanza.
Uno degli articoli più dibattuti, soprattutto negli ultimi anni, è il 9 che tratta del personale sanitario e prevede esplicitamente la possibilità di obiezione di coscienza. Gli articoli 10 e 11 si occupano delle prestazioni ospedaliere e sanitarie e di questioni amministrative, mentre gli articoli 12 e 13 regolano le procedure sia per le donne maggiorenni, sia per le minorenni, sia per la donna in condizioni di infermità mentale.
L’articolo 14 parla del diritto della donna a essere informata e l’art. 15 dell’aggiornamento del personale sanitario; l’art. 16 fa riferimento alle relazioni sull’attuazione della legge.
Gli articoli 17, 18, 19 e 20 impongono sanzioni e pene per chi, causa l’aborto senza consenso della donna e non rispetta le modalità previste dalla legge.
L’articolo 21 garantisce la privacy della donna che ricorre all’IVG e l’articolo 22 abroga le parti del codice penale in cui l’IVG era reato.
194: non è una legge pro-aborto, è una legge pro gravidanza
La legge 194 non liberalizza il diritto di aborto e non è una legge che lo promuove, ma è una legge che mira prima di tutto proprio ad evitare l’aborto, stabilendo quando è consentito ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza.
Non vuole in alcun modo ledere o limitare il diritto all’autodeterminazione delle donne (come sostengono alcuni esponenti politici e del mondo delle associazioni che vorrebbero, quindi, cambiare la 194 in direzione di una liberalizzazione totale dell’aborto) ma tutela la donna che si trova a dover decidere se proseguire o interrompere la gravidanza.
Cosa manca alla legge 194
Quello che dopo più di quarant’anni manca ancora alla legge 194 è, paradossalmente, l’applicazione della legge stessa. Finora, dobbiamo ammetterlo con onestà, si è solo puntato a garantire l’interruzione di gravidanza, ma poco o niente è stato fatto per garantire realmente il diritto all’autodeterminazione della donna.
Eppure abbiamo visto che il principio della legge è quello di tutelare e garantire la vita, non di favorire l’aborto che, comunque la si pensi, rimane un trauma nella vita di ogni persona.
Garantire alla donna la libertà di decidere
Proviamo a porci alcune questioni pratiche: quante ragazze sono costrette ad abortire perché non sono informate adeguatamente sulle alternative all’aborto? Quante donne scelgono l’aborto non perché non vorrebbero un figlio, ma perché pensano di non avere le condizioni economiche adeguate per farlo crescere?
Nondimeno l’articolo 5 della 194 stabilisce che consultorio e struttura socio-sanitaria hanno il compito, «specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche», di esaminare «le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto».
Quante donne sacrificano la loro maternità, pur desiderandola, per mantenere il lavoro? Quante ragazze scelgono di abortire per non entrare in contrasto con la famiglia? Eppure l’articolo 2 è molto chiaro, quando prevede che una delle funzioni principali dei consultori sia proprio quella di «far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza».
La verità è che, in un mondo ancora profondamente maschilista, la legge 194 è ormai diventata una sorta di procedura automatica burocratico-sanitaria, dove la donna è soltanto un utente standardizzato e l’esito finale della procedura è scontato: l’aborto.
La donna in questo modo non ha nessun diritto di scegliere, è solo costretta ad interrompere la gravidanza, con la complicità della propaganda di movimenti e associazioni che si proclamano ‘femministi’ e che assicurano che abortire non comporta nessun problema, né fisico né psichico.
Questa è esattamente la logica patriarcale più retriva: alla donna non può essere data altra scelta se non abortire.
Cosa vuol dire applicare la legge
Applicare la legge 194 significa permettere alla donna di scegliere realmente cosa fare, significa sostenerla in un percorso di rimozione degli ostacoli economici e sociali, significa attuare le condizioni dove lavoro e carriera professionale e cura dei figli non siano incompatibili, dove la cultura familiare, lo stato sociale, il reddito non vincolino le decisioni della donna, dove la decisione di proseguire o interrompere la gravidanza sia liberamente presa, senza alcuna costrizione diretta o indiretta.
Quando il centrodestra o la Lega sono accusati di voler eliminare la legge 194 o restringere il diritto di aborto, bisognerebbe rileggere la legge e guardare con obbiettività ai fatti: applicare la legge non significa aumentare il numero degli aborti o penalizzare i medici obiettori, ma significa difendere la vita, permettere alle donne di scegliere, assicurare che lo status economico e sociale di ogni singola donna non condizioni la sua scelta.
da Marco Vannozzi | 08/01/2023 | Comunicati stampa
«Nessun allarme per quanto riguarda l’applicazione della legge per l’interruzione volontaria di gravidanza nelle Marche – afferma l’onorevole Giorgia Latini -. Il diritto viene garantito in piena autonomia dal servizio sanitario: una prestazione in assoluta sicurezza, senza dolore e del tutto gratuita, nel pieno rispetto della Legge 194, senza dover ricorrere a convenzioni con enti collaterali.
Le Marche garantiscono questo diritto con numeri superiori alla media delle altre regioni d’Italia. Nelle Marche l’offerta del cosiddetto servizio di interruzione volontaria di gravidanza è infatti di gran lunga maggiore rispetto a quella nazionale: gli interventi possono essere effettuati nel 92,9% delle strutture sanitarie mentre la media italiana è del 62%. Per quanto riguarda gli obiettori, il numero di aborti a carico dei medici non obiettori è 0,8 a settimana».
L’ospedale Mazzoni di Ascoli è un punto di riferimento per tante donne anche da fuori regione, fornisce assistenza sull’interruzione volontaria di gravidanza rispettando la libertà di ognuno, in piena autonomia e con garanzia di risposta. «Da alcuni anni, nello stesso ospedale, hanno preso servizio alcuni ginecologi non obiettori, attualmente quattro, disponibili a fare questo tipo di intervento. Ho più volte rimarcato che la legge chiede di rimuovere le cause che portano le madri a questa difficile decisione, non di indurle ad abortire – aggiunge la vicepresidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione alla Camera dei Deputati -. L’articolo 1 della Legge 194/78 recita che “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. Il nostro compito è mettere in condizione le donne di decidere liberamente, sperando che nessuna sia costretta a prendere una scelta così importante magari per questioni economiche o per cattiva informazione».
Lo scorso anno, con il Fondo Famiglia, la Regione Marche ha stanziato un milione di euro prevedendo anche interventi a sostegno della nascita e l’adozione di figli: i beneficiari complessivamente sono stati 454 (151 donne che avrebbero potuto abortire per ragioni puramente materiali e 199 ragazze madri e 104 famiglie che hanno scelto il percorso dell’adozione).